La ceramica è l’altro mondo nel quale si esprime la Giacomazzi, servendosi di pezzì già pronti, modificati con l’intervento di tre tecniche diverse: la cottura a terzo fuoco, la scandinava, la raku. Tre procedimenti lunghi, elaborati, difficili e delicati. Dal Greco “Keramos”, ceramica si riferisce alla vastissima gamma dei prodotti ottenuti modellando degli impasti di argilla e di altre terre, che vengono poi cotti e, sovente, rivestiti e decorati. Il gruppo più prestigioso delle ceramiche (terraglie, maiolica, grès, porcellana) è indubbiamente costituito dalla porcellana, la cui fine pasta bianca, compatta, translucida si presta a molte decorazioni pittoriche e plastiche. La Giacomazzi sceglie delle porcellane bianche sulle quali intervenire, usando un impasto di colore diluito con olio molle e ad ogni stesura si passa alla cottura in forno elettrico ad una temperatura di 800 gradi e nel caso desideri ottenere delle velature si arriva anche alle otto, venti fasi di cottura. Il momento che precede la decorazione consiste quasi sempre nella stesura di un bozzetto preparatorio, tranne quando non si scelgono soggetti fitomorfi e zoomorfi; nel tal caso l’artista si sente libera di passare alla fase decorativa. Gli stessi motivi adattati in questa tecnica a terzo fuoco, sono ripresi nella scandinava. Si sceglie di servirsi dei lustri, colori molto densi a guisa di smalti, fatti aderire alla superficie con due bastoncini, uno bagnato con acqua ed uno con alcool; si appoggiano sulla goccia di colore, sempre marrone, che si espande e dopo la cottura a 800 gradi la cromia assume delle tonalità diverse. I toni di colorazione che ne derivano sono lasciati ad un margine di casualità.
(a cura del critico d’arte Luciana Gandini)